Quattro anni fa ho deciso di emigrare in Australia per amore, per avere più opportunità di lavoro e una qualità di vita migliore rispetto all’Italia. Ho lasciato la mia Milano con un biglietto di sola andata e tante speranze nella valigia.
Come i tanti tantissimi italiani che ormai si trovano quaggiù, sono arrivata down under con il classico visto vacanza lavoro, e sapevo che mi avrebbe aspettato un anno non facile dal punto di vista lavorativo: la clausola dei 6 mesi massimi per un singolo datore di lavoro è sicuramente una spina nel fianco per chi vuole trovare un lavoro che non sia nel mondo della ristorazione! Ma come tutte le persone di buone speranze, sono arrivata fiduciosa, fantasticando che avrei trovato un lavoro decente. Eppure, nonostante la conoscenza di 3 lingue, le lauree e le esperienze all’estero, dopo centinaia e centinaia di curriculum inviati e application compilate, tutto quello che sono riuscita a trovare sono stati due lavori in bakeries (bar/panetteria/pasticceria), per 6 mesi alla volta e un posto come insegnante di italiano e francese in una scuola privata di lingue per altri 6 mesi.
Di certo non quel che si dice lavori gratificanti! E così, dopo circa un anno e mezzo dal mio arrivo in Australia, stanca e amareggiata dall’assenza di reali possibilità lavorative, soprattutto nel mio campo di studio, ho deciso di tentare la strada della ricerca. Perché se è pur vero che i lavori in ristorazione mi hanno permesso di vivere e mantenermi, è altrettanto vero che non sono venuta in Australia per fare questo.
E così 3 anni e mezzo fa ho cominciato il mio dottorato in giurisprudenza, sul tema dei bambini soldato, un argomento delicato e ambizioso, ma che mi appassiona molto da quando ho affrontato la questione per la tesi di specialistica. Mi appassiona molto l’ambito dei diritti dei minori e spero che questa nuova esperienza mi permetta di entrare in quel mondo e fare qualcosa di concreto per garantire un futuro migliore a quanti più bambini possibile. La vita da ricercatrice però non si è rivelata tutta rose e fiori: passo le mie giornate da sola, a casa, a leggere e scrivere. Il che può essere davvero alienante, soprattutto considerando che questa sarà la mia vita per 3 anni. Comunque sia, ho la soddisfazione, in poco più di due anni, di essere passata dal preparare il caffè e servire il pane, dallo spazzare per terra e insegnare l’italiano, a fare ricerca in un’ottima università con un contratto di almeno 3 anni. Finalmente qualche soddisfazione!
Sono ormai 4 anni che chiamo Australia “casa”, e dopo tutto questo tempo il mio bilancio è sicuramente positivo, ma non è tutto oro quello che luccica! L’Australia non è il paradiso terrestre come pensano tutti. Lo può essere. È un paese che offre tantissimo a chi se lo merita, a chi lavora sodo, a chi si adatta, a chi apre la mente e il cuore a tutto quello che questa nazione ha da dare. Ma non regala niente.
Un consiglio a chi pensa di fare un’esperienza in Australia: siate pronti a qualsiasi tipo di lavoro, siate umili e flessibili. Se volete farcela in Australia, un modo lo troverete, ma ricordatevi che non esistono scorciatoie!
Un saluto a chi sa reinventarsi, Claudia