Sono Jezebel ho 28 anni e attualmente vivo ad Edmonton. Nell’agosto del 2014 mi è venuto il forte sospetto che io e l’Italia non fossimo più fatte l’una per l’altra. Le ho chiesto una pausa di riflessione, in fin dei conti glielo dovevo, stavamo assieme da 26 anni. Lei ha insistito, mi ha detto “mannò vedrai che risolveremo tutto” io però avevo già creduto alle sue promesse per troppo tempo e il 10 febbraio 2015 le ho presentato le carte del divorzio: avevo comprato il biglietto per il Canada.
Di cosa ti occupavi nella tua città?
Quando ho deciso di andarmene lavoravo in uno studio di consulenza del lavoro. Da qualche mese avevo concluso il praticantato e avevo cominciato a lavorare come “libera” professionista nello stesso studio. Quello che mi ha fregata in tutta questa storia è stato l’incaponirmi sul disatteso concetto della parola “libera” nella locuzione libera professionista, ma lasciamo perdere.
Quando sei andata via?
Sono partita il 2 giugno 2015. Il giorno della Festa della Repubblica mi sembrava una buona giornata per dirle addio. Un po’ un anniversario mancato. Non le ho mandato i fiori.
Avevo 27 anni. Forse avrei dovuto partire prima ma non ero ancora riuscita ad elaborare il lutto di dover emigrare per poter vivere. Non ci volevo credere, ho dovuto arrivare al mio limite di sopportazione per decidermi. Ognuno è fatto a modo suo.
Cosa ti ha spinto ad andare all’estero? Non hai pensato di fare lo stesso nella tua città o in Italia?
Io non volevo andarmene, sono in Canada perché l’Italia mi ha deluso oltre misura.
Dal punto di vista economico, la laurea, il praticantato, l’impegno che ho sempre messo in tutto quello che faccio, non sono bastati a garantirmi un’esistenza dignitosa. Nonostante condividessi un appartamento con altre tre persone, arrivavo a fine mese centellinando ogni euro. Una vita che non mi era nuova. La stessa identica che facevo fin dal primo anno di università. Così, quando a fine praticantato, parlando del mio futuro in studio, ho realizzato che il mio compenso non sarebbe cambiato mi sono sentita un’ingenua. In pratica, ho trovato Italia a letto con un’altra ed io invece ero convinta che morisse per me. In quel momento ho realizzato che avevo sopportato abbastanza.
Ho sempre lavorato duro e mi aspettavo un minimo di riconoscenza, invece, dopo nove anni di restrizioni, mi ritrovavo di nuovo punto e a capo a vivere di speranze.
“Vedrai che è una delle nostre crisi passeggere. Vedrai che ti passa.”
“Questo lo vedremo…”
Dal punto di vista personale poi non mi ha permesso di fare moltissime cose, molti corsi che avrei voluto frequentare, alcuni viaggi, qualche mostra, una macchina… Poi mi sono detta che se in futuro avessi incontrato una persona con la quale passare la mia esistenza, oppure, se un giorno avessi voluto diventare madre, come avrei potuto farlo nelle condizioni in cui ero?
Italia, neanche gli alimenti mi paghi, dopo tutti questi anni sei una compagna ingrata.
Ho scelto il Canada perché avevo un amico che si era trasferito qui e mi aveva chiesto di partire con lui. Ci ho pensato tanto per una serie di questioni personali in gioco. Poi il rapporto si è evoluto in qualcos’altro ma ho voluto prendere la decisione quando ancora le cose con questa persona non erano sicure. Non ne ho parlato con nessuno, ho preferito prendere la decisione di partire ed in seguito di rimanere, da sola. Ho voluto decidere anche al di là della persona con cui ora sto, non perché io non ci tenga, anzi, l’ho fatto proprio per quello. Non volevo ritrovarmi un giorno ad accusarlo di essere la fonte di tutti i miei eventuali problemi da emigrata “perchè alla fine l’ho fatto per te!” sottointeso, quindi è tutto colpa tua. Ossia, ho preferito assumermi tutta la responsabilità della scelta per salvaguardare il mio rapporto di coppia, anche in futuro.
Cosa ti aspettavi di trovare fuori dall’Italia?
Un po’ di serenità e la possibilità di farmi una vita mia senza dovermi preoccupare di cosa potermi permettere al supermercato. Insomma, mi aspettavo di poter raggiungere una dignità e un’indipendenza che in Italia non avrei mai potuto avere.
Le tue previsioni sono state soddisfatte?
Sì e no. Se avessi già il visto, che ho richiesto qualche mese fa, a quest’ora potrei dire di sì. Per ora aspetto, quello che mi dà fiducia è che qui il mercato del lavoro non è ancora saturo. Quando sono arrivata (con visto turistico) ho mandato subito curricula. All’inizio nessuno mi rispondeva ma questo derivava dal fatto che ancora non avevo un numero telefonico canadese (importantissimo farlo il prima possibile) e dal fatto che il resume che avevo non andava bene. Una volta risistemato secondo i canoni dell’Alberta (la Provincia del Canada in cui vivo), in tre giorni ho trovato due datori di lavoro che mi volevano assumere. A dire il vero nei giorni successivi ho ricevuto anche altre offerte ma ormai ero già in parola con questi due datori di lavoro.
Il grosso scoglio è stato il visto. Entrambi erano disposti a sponsorizzarmi ma uno dei due era troppo anziano e voleva che organizzassi tutto io. Anzi, diciamola tutta, pretendeva che cominciassi a lavorare prima di avere le carte perché “tanto non ti scopre nessuno”. Non dirò che aveva origini italiane. Non lo dirò. A questo proposito sconsiglio vivamente di lavorare senza visto, dato che in caso si venga colti sul fatto, sarete rispediti col primo aereo utile e diffidati dall’entrare in Canada per un determinato periodo di tempo che se non mi sbaglio corrisponde a due anni.
Il secondo invece mi ha detto che avrebbe fatto il possibile e che avendo già altri lavoratori stranieri, era solo questione di tempo. Il problema è che il governo non gli ha rinnovato l’LMIA (il documento che i datori di lavoro devono avere per poter assumere stranieri) e quindi non solo non ha potuto assumere me ma ha dovuto sostituire personale straniero che lavorava da anni con loro con nuovo personale. Mi ha persino ricontattata dopo due mesi per sapere se per caso avevo trovato un modo alternativo per avere il visto più velocemente dato che loro con questa cosa dell’LMIA non rinnovato, si trovavano in brutte acque.
Conoscevi già le lingue straniere?
Sì, conoscevo già piuttosto bene l’inglese. Ho avuto un po’ più di difficoltà nel lasciarmi andare con i madrelingua che mi hanno sempre impaurito. Vorrei avere la loro pronuncia ma non ce l’ho. In ogni caso partivo da un buon inglese pertanto una volta smaliziata ho avuto meno problemi.
Cosa fai adesso?
In questo momento sto aspettando il visto. Espandendo la domanda e non sottointendendo a quello che mi è stato chiesto “qual è il tuo lavoro adesso”, direi che faccio finalmente quello che mi piace, cosa che mi sono dimenticata di fare per un sacco di tempo. Scrivo per il mio blog (Causticissima,Causticissima FB), collaboro con il sito Atmosferae, la prospettiva degli italiani all’estero (Atmosferae, Atmosferae FB) e all’uopo scrivo articoli per un’associazione culturale di Udine ed in particolare per il progetto La Scimmia Nuda (La Scimmia Nuda, La Scimmia Nuda FB). In parallelo porto avanti altri progetti miei che voglio concludere prima di avere il permesso per lavorare dato che in futuro presumibilmente avrò meno tempo.
Quali sono state le difficoltà iniziali e come le hai superate?
Dal punto di vista burocratico sicuramente il permesso per lavorare. Come ho detto, sto ancora aspettando per cui non posso dire che l’ho ancora superata. Dev’essere l’Italia che non vuole concedermi il divorzio. Si sarà offesa… poteva pensarci prima di tradirmi.
Dal punto di vista personale invece, sicuramente il grande cambiamento di ambiente, di persone, di cose da poter fare.
Emigrare in generale non è facile da nessun punto di vista. Quello che mi ha portato ad insistere ed a rimanere è la consapevolezza che ho di quali siano state le motivazioni che mi hanno spinta a partire e di quelle per le quali sono rimasta.
Ti sei integrato dove vivi? E dopo quanto tempo?
Sono qui da otto mesi, per cui credo che sia prematuro dire che mi sono integrata completamente. Sicuramente sto cercando di socializzare con le persone che ho conosciuto qua, però credo mi ci vorrà ancora un po’ di tempo. Parlo in questo modo perché ancora sento una differenza fra me e le persone che mi circondano, quando non la sentirò più allora potrò dire di essermi integrata al 100%.
Cosa ti piace e cosa meno della città in cui vivi adesso?
Mi piace l’aria di possibilità che c’è qua. La possibilità di farmi una famiglia, di costruire un futuro con la persona che amo. La sensazione che impegnarmi nel lavoro che svolgerò mi porterà a dei risultati.
Quello che mi piace di meno è che ho l’impressione che le persone siano meno consapevoli di se stesse di quanto non lo siamo noi italiani. Mi spiego meglio, credo che qui il minimo problema personale sia quasi sempre visto come qualcosa di insormontabile. Noi italiani siamo così abituati agli imprevisti che a certe cose non ci facciamo nemmeno caso.
Ti manca la tua città natale? Cosa o chi?
La mia città natale non so se mi manca veramente. Sicuramente mi mancano dei piccoli angoli di città in cui andavo quando ero proprio disperata e volevo rilassarmi. Lo so, la butto giù come una tragedia, però per me è stato così e lasciarsi dopo così tanti anni non è mai facile.
E poi mi mancano le piazze! L’Italia ha la grande fortuna di avere una quantità smisurata di piazze. Credo che non avere una piazza, seppur solo uno spazio architettonico, cambi di molto le relazioni con le persone. In piazza ci si conosce tutti, su di una strada trafficata tutti divisi in decine di bar/pub no.
In generale mi mancano più le persone che i luoghi… per ora.
Cosa diresti a chi è rimasto nella tua città natale e quali consigli a chi vuol vivere fuori dall’Italia?
Beh, dipende dal perché è rimasto. Se è rimasto perché non ha avuto il coraggio di fare il salto nel vuoto gli direi di prendere coraggio perché in ogni caso vivere senza sbagliare è impossibile. Se invece è rimasto perché sta bene dove stà gli dico: beato te, magari avessi potuto rimanere anche io.
A chi vuole andarsene consiglio di prepararsi un buon piano, fare un calcolo in eccesso dei soldi che gli serviranno e risparmiarli religiosamente, di capire quali siano le carte che dovrà fare, di scegliere la data della partenza in base alle possibilità di trovare lavoro in quel periodo e non in base al costo del biglietto. Direi di prepararsi psicologicamente per il crollo, soprattutto quando ci saranno persone che dovrebbero sostenerti e che invece saranno felici di dirti che avevano ragione loro, hai fatto male a partire. Questa è una valutazione che ogni espatriato fa a debito momento e non è detto che il bilancio sia per forza negativo. In caso lo fosse, per quanto mi riguarda, preferisco sbagliare con il mio giudizio piuttosto che con quello degli altri.
Pensi mai di ritornare un giorno?
Non lo escludo, mi manca il modo di vivere italiano ma non mi manca tutto quello che so di trovare in Italia. Le grandi difficoltà lavorative, le ingiustizie dei nepotismi e tutto quello che ho già detto. Noi abbiamo in mente di rimanere almeno 5 anni. Poi in base alla situazione che ci sarà in quel momento decideremo cosa fare. Prendo le cose come vengono. In ogni caso non mi sento così italiana da dire che vivrei solo in Italia. L’Italia è solo il Paese che conosco di più.
Come e dove ti immagini in futuro?
Domanda personalissima, ‘spetta che rispondo non rispondendo. Immagino di poter finalmente avere il lavoro che vorrei. Il mio futuro comunque non riesco a vederlo verso l’Europa. Credo che sia molto più probabile che io rimanga da questa parte dell’emisfero, ma questo, come ho detto nella precedente domanda è tutto da valutare.
Immagini i tuoi figli e nipoti che parlano una lingua straniera anziché l’italiano?
Sì, semmai mi capitasse di moltiplicarmi, vorrei che la mia progenie fosse quantomeno bilingue. É anche per questo che ho sempre cercato mantenere un buon livello d’inglese. Vorrei che parlassero entrambe le lingue per dar loro la possibilità di scegliere dove stare. Per quanto riguarda i nipoti, non saprei dire, in mezzo ci sono troppi anni.
Il Canada è multiculturale?
Direi di sì, un paese più multiculturale del Canada non so se ci sia. Ci sono moltissime seconde generazioni e new comers. Inoltre, per definizione, il canadese quadratico medio nell’albero genealogico ha almeno tre differenti nazionalità europee a cui rifarsi. Credo sia anche per questo motivo che non ho visto/subito fenomeni di razzismo.
Paradossalmente, le uniche volte che ho notato una certa diffidenza è stato nei confronti degli aborigeni. Ma non voglio addentrarmi in argomenti che non conosco appieno.
Differenze tra l’Italia e il Canada?
Ci sono un’infinità di diversità a partire dalle piccole cose. Da come sono organizzate le case, al modo di fare delle persone, a quello che si mangia, i ristoranti, i gruppi di persone con cui si esce, l’umorismo. Potrei dire che è tutto diverso. Però vederla così potrebbe destabilizzare per cui preferisco vivermi il mio “nuovo mondo”, con gli occhi di una bambina. Faccio finta che questa sia la normalità e prendo atto delle cose, altrimenti finirei per passare la giornata ad annotare ogni differenza dando spazio a qualsiasi tipo di lamentela.
Insomma, non vorrei mai capitolare e ritornare dalla Traditrice!
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