Mi chiamo Stefania ed ho 30 anni. Prima di intraprendere il mio “salto nel buio” svolgevo attività di doposcuola e il servizio civile a Caltanissetta. Ho studiato Scienze della Formazione Primaria ma ho scelto di non arrivare al termine.
Nel maggio del 2013, spinta in parte da un’insoddisfazione relativa a ciò che mi circondava (mancanza di lavoro e reali prospettive sul futuro, mancanza di stimoli culturali, ecc…), ma soprattutto spinta dalla “fame di mondo” e dalla voglia di regalarmi un’esperienza che mi avrebbe arricchita su diversi fronti e che avrebbe testato e “spostato più in là” i miei limiti e le mie capacità, ho deciso di trasferirmi a Parigi con qualche risparmio (che non mi è mai servito finora) e una scarsa conoscenza della lingua francese. Ho iniziato come ragazza alla pari (avevo vitto, alloggio e qualche spicciolo di paga): ho cercato la famiglia su un sito internet prima di partire, ma sono stata con loro 6 mesi perchè ho trovato subito un altro lavoro. Ho scelto la Francia, nonostante a livello di conoscenza linguistica fossi più a mio agio con l’inglese, per la sua situazione legislativa in termini di lavoro, disoccupazione e formazione: non mi addentro nei dettagli ma per capirne l’entità immaginate me, senza nessuna conoscenza, in un Paese di cui parlavo appena la lingua, senza laurea e senza un impiego che dopo nemmeno 2 anni di lavoro (nel campo dell’infanzia) oggi ho qui una casa di proprietà e un contratto a tempo indeterminato e conto a breve di iniziare una scuola professionale di 3 anni che mi verrà finanziata dallo Stato e, inoltre, verró retribuita per tutta la durata dei corsi.
Di certo “casa” mi manca, la sensazione di “nido” è qualcosa che può regalarti soltanto un luogo al mondo ma al tempo stesso non ho intenzione di rientrare. Ormai la mia felicità e il mio futuro sono qui: questo è il Paese che mi ha dato un’opportunità, questo è il Paese in cui pago le tasse con enorme piacere, questo è il Paese in cui presto otterrò la mia seconda nazionalità e questo è il Paese in cui, forse un giorno, avrò dei figli e sarà strano, ma al tempo stesso stupendo, sentirli parlare un’altra lingua.
Quello che mi sento di dire ai giovani e a chi sogna di trasferirsi all’estero è di provarci: nella peggiore delle ipotesi ritornerete indietro con un arricchimento di esperienze inimmaginabili e avrete vissuto una bella parentesi di diversità. Non credo che restare nel proprio Paese e costruire lì il proprio futuro sia meno bello e meno coraggioso ma se si ha la spinta a partire bisogna quantomeno provarci. Nascere è “venire al mondo” e allora io penso che sia un nostro diritto “andare al mondo”!