Mi chiamo Enrico, ho 29 anni e lavoro come giornalista e traduttore. Ho vissuto gli ultimi tre anni all’estero, dove ho deciso di vivere dopo un’iniziale esperienza in Erasmus avvenuta sette anni fa. Ho frequentato un master in giornalismo ad Örebro, in Svezia, poi ho lavorato per quasi un anno a Budapest e negli ultimi mesi sono ritornato in Svezia dove ho una mia società. Sono in procinto di trasferirmi di nuovo e vorrei che la mia prossima destinazione fosse in Italia.
Di cosa ti occupavi nella tua città?
A Milano, dopo gli studi, ho lavorato come operatore di assistenza per una compagnia assicurativa. Avevo un contratto di apprendistato, ma già un anno prima avevo iniziato ad intuire che non me lo avrebbero esteso.
Cosa ti ha spinto ad andare all’estero?
Avevo già tastato il terreno andando in Svezia in Erasmus. Il mio sogno è sempre stato quello di scrivere, fosse anche la traduzione di un preventivo spese, e temo che in Italia questo tipo di professione, sia in ambito comunicativo che commerciale, sia eccessivamente inflazionata. Ci sono troppe persone che provano a farlo e molte di queste non sono capaci, ma costano poco (o niente) e, in tempi di crisi, si preferisce il risparmio alla qualità. Siccome ero consapevole di avere dei limiti professionali, ho deciso di rimettermi a studiare.
Perché hai scelto la Svezia?
L’istruzione in tutto il Nord Europa è gratuita. Avevo inviato richieste a varie università e ho ottenuto un posto ad
Cosa ti aspettavi di trovare fuori dall’Italia?
Più organizzazione, meno burocrazia, più certezza nel proprio futuro. Speravo anche di trovare una maggiore apertura mentale e disponibilità al dialogo.
Le tue previsioni sono state soddisfatte?
In parte. Come studente ero entusiasta della mia università, soprattutto ricordando i tempi in cui studiavo alla Statale a Milano e dovevo pagare per un servizio scadente (e che consideravo perfino migliore rispetto a quello di altri atenei). Toccare con mano cose che in Italia sarebbero impensabili dal punto di vista logistico ed organizzativo. Però c’è anche il rovescio della medaglia, e cioè che quando sei nella tua aula e stai per accendere il Mac dell’università, ti ritrovi di fronte un professore che ne sa meno di te. E di questo me ne sono reso conto nei mesi in cui ho dovuto aprire una mia società: c’è molta superficialità nel gestire qualsiasi tipo di ruolo, specialmente nel settore pubblico. Quando si lavora nel privato, è molto difficile entrare in contatto con gli svedesi, e questo vale anche per chi è nato in Svezia da genitori stranieri. E’ una forma estremamente subdola di discriminazione, che però viene ricoperta da una gigantesca propaganda a favore dell’uguaglianza e delle pari opportunità.
Conoscevi già le lingue straniere?
Ho sempre parlato inglese senza problemi, poi ho migliorato il mio svedese rimanendo qui. Parlo abbastanza bene anche spagnolo e francese, più un po’ di tedesco e qualche parola in ungherese per sopravvivere quando non avevo una lingua comune con i miei interlocutori.
Cosa fai adesso?
Sto preparando le valigie, nel vero senso della parola. Sono un po’ stanco della Svezia e di come sia cambiata nel corso degli ultimi anni. E’ un paese che si sta italianizzando, a cui si aggiunge la pecca di non garantire la stessa vita sociale che si può avere nel nostro paese. Mi sono reso conto di aver iniziato a frequentare gli italiani, cosa che in passato cercavo di evitare per integrarmi meglio. Ora non mi interessa neppure tanto.
Quali sono state le difficoltà iniziali e come le hai superate?
Come studente ne ho avute davvero poche, se non quella di un leggero straniamento nei primi mesi, ma credo sia normale. Come libero professionista ne ho avute continuamente, perchè la pressione fiscale è altissima indipendentemente dai ricavi percepiti. Ora mi sono trasferito a Göteborg, dove avevo già studiato in Erasmus, ma mi sono reso conto di non conoscere quasi nessuno. Il problema principale, e questo vale per tutti, è trovare una casa ed è un problema che non si può risolvere perchè è una delle maggiori piaghe della Svezia. Fra vivere in centro e vivere in periferia la differenza degli affitti non è abissale come in altre parti, per cui ci si ritrova a dover scegliere se vivere in una specie di ghetto (ce ne sono, e anche abbastanza pericolosi, nelle grosse città) o se mettersi in lista per ottenere un appartamento tramite le compagnie municipali, ma a Stoccolma l’attesa varia dai 7 ai 15 anni.
Ti sei integrato dove vivi?
In termini culturali penso di averlo fatto praticamente subito. Ho imparato la lingua molto in fretta e gli usi e i costumi sono già quelli che adopero io quando sono in Italia. Mi reputo una persona con un senso di responsabilità civile, che è ciò che apprezzo degli svedesi. Dal punto di vista sociale, credevo di esserlo, ma in realtà come studente è tutto molto più facile, frequentando compagni di corso o amici dell’università. Da quando lavoro, e soprattutto da quando mi sono trasferito in un’altra città, è 100 volte più difficile.
Cosa ti piace e cosa meno della città in cui vivi adesso?
Della città mi piace l’immensa quantità di acqua: non avevo mai abitato così vicino al mare (circa 50 metri), ed è pieno di canali e fiumiciattoli, poi c’è un meraviglioso arcipelago ed è il posto in cui porto spesso i miei amici e la mia ragazza quando vengono a visitarmi. Mi piacciono meno i quartieri periferici in cui tendono a scaricare gli immigrati: ci ho vissuto, quando ero all’università, e ho capito che le banlieue non erano un fenomeno limitato a Parigi, per quanto qui vi siano sicuramente più servizi e le abitazioni siano ben tenute.
Ti manca la tua città natale?
Sono nato in un paese al confine fra il Piemonte e la Liguria e sicuramente mi manca stare con la mia famiglia, o anche solo poter mangiare e bere quello che voglio senza dover spendere una marea di soldi. Preferirei, però, vivere a Milano: è una città che apprezzo per quanto si stia sforzando di avvicinarsi al resto dell’Europa, i miei amici vivono tutti lì, posso vivere senza macchina ed è a un’ora di treno da casa.
Cosa diresti a chi è rimasto nella tua città natale e quali consigli a chi vuol vivere fuori dall’Italia?
A chi rimane in Italia dico che è il caso di fare di tutto per migliorarla, perchè la gente all’estero ama ancora il nostro paese ed è per colpa di quella parte irresponsabilizzata e incivile che siamo costretti a dover guardare altrove. A chi vuole andare via, consiglio di provare più posti per capire meglio qual’è la destinazione giusta, o se magari è il caso di ripensare diversamente all’Italia. Io l’ho fatto in Svezia e in Ungheria trovandoli, a loro modo, luoghi piacevoli.
Pensi mai di ritornare un giorno?
In questo momento è la cosa che voglio di più e credo di avere le competenze e la capacità di poter emergere, dopo questo periodo all’estero.
Come e dove ti immagini in futuro?
Spero di poter finalmente vivere vicino alla mia ragazza, che ho conosciuto a Budapest, e di fare il lavoro che ho sempre sognato. Mi piacerebbe avere più case in giro per il mondo e scegliere in base al mio umore.
Immagini i tuoi figli e nipoti che parlano una lingua straniera anziché l’italiano?
Io voglio che i miei figli e nipoti parlino lingue straniere e l’italiano. Nel caso dovessi avere dei bambini con la mia attuale fidanzata, si ritroverebbero a parlare italiano, ungherese, inglese e magari qualche altra lingua nel caso ci ritrovassimo a vivere in un altro posto. Spesso invidio chi nasce da genitori di due nazionalità diverse proprio per questo.
La Svezia è multiculturale?
Si, con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso. Di positivo c’è che non si rischia di essere insultati o aggrediti per il colore della propria pelle o religione (anche se ci sono stati alcuni episodi, anche gravi). L’aspetto negativo è che da una parte gli svedesi tendono a mettere in un angolo chi non è biondo con gli occhi azzurri, anche in termini geografici. Ci sono posti come Sodertalje, a circa un’ora da Stoccolma, in cui il 60% della popolazione è straniera e questo perchè è un posto pensato per accogliere gli immigrati. Inutile dire che è un luogo molto difficile da vivere. Un altro aspetto che mi infastidisce molto è che la Svezia sta facendo spazio ad usi e costumi che non sono svedesi e questo mi spiace molto, perchè credo che la Svezia sia diventato un paese civile e democratico proprio per i suoi valori, così come altri paesi vivono situazioni di crisi, politiche e sociali, perchè i valori espressi sono di altro tipo.
Differenze tra l’Italia e la Svezia?
Ne potrei elencare migliaia. I punti in favore della Svezia sono la burocrazia funzionante, l’istruzione gratuita, la possibilità di poter viaggiare utilizzando esclusivamente mezzi pubblici quasi ovunque. Dell’Italia preferisco il modo in cui viviamo il nostro tempo libero (qui si va in palestra in settimana e ci si sfonda di alcool nel week-end), la capacità di “pensare fuori dalla scatola” (think outside the box), completamente sconosciuta agli svedesi, e la capacità di ammettere i problemi che affliggono la nostra società, cosa della quale, qui, non riesco a trovare traccia. Avendo vissuto anche in Ungheria, posso dire che, almeno nel caso di Budapest, si può trascorrere un anno e continuare ad essere convinti di essere turisti, tante sono le cose che si scoprono di continuo. Amo anche alcuni piccoli aspetti della vita quotidiana come andare alle terme finito il lavoro (un piacere che ha pochi eguali) o poter trovare negozi aperti a qualsiasi ora del giorno (anche se ora, alla domenica, chiude tutto e sembra di essere nel deserto). Mi piace di meno il fatto che in molti, anche anagraficamente giovani, abbiano una mentalità un po’ passiva, forse retaggio dell’esperienza vissuta sotto il socialismo, e la deriva politica che ha preso il paese. Sono convinto che, con una leadership più Europea, nel giro di qualche anno l’Ungheria potrebbe soppiantare mete ben più gradite ai nostri expats.