Mi chiamo Daphné Reguiessé, ho 23 anni e sono francese, originaria del Poitou Charente (ad Ovest, sulla costa atlantica). Vivo in Italia, a Padova, da 5 anni: qui insegno francese e tedesco, a scuola e in famiglia, e TIP TAP con dei bambini fantastici. La danza è la mia passione da 19 anni, la chiamo “happiness therapy”!
Ballo anche danza indiana Bhangra e con il mio gruppo partecipiamo a feste indiane e festival – un modo di evadere dall’Europa andando dietro l’angolo. Esiste una Tap Comunity in Italia e nel mondo, e tra stage e workshop ci incontriamo tutti di qua e di là (a fine marzo andiamo a Stoccolma in Svezia), viaggiamo e balliamo, what else?
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di viaggiare parecchio tra vacanze e viaggi a scopo umanitario. Cosa mi ha spinto a viaggiare? Forse la sindrome di Wanderlust di cui si discute tanto adesso? Banalmente, credo che abbia influito il contesto nel quale sono cresciuta, i miei genitori e la vita da nomadi che ci hanno fatto sperimentare fin dalla nascita.
Non mi sono mai fatta troppe aspettative, da parte mia c’è sempre stata molta curiosità nel partire, ma anche tanta volontà di adattamento, quindi ho sempre pensato di arrivare a destinazione, vedere come fosse la situazione e aggiustarmi di conseguenza. Se non abbiamo aspettative, è difficile rimanere delusi, no?
In realtà, ho iniziato relativamente presto le mie “esperienze internazionali”: la prima volta che sono partita da sola ero alle medie con lo scambio in Germania; poi l’ultimo anno delle medie (che è il primo anno delle superiori in Italia) sono partita con mio fratello a Pangbourne, in UK, per 1 mese di immersione in un college, prima volta in aereo da soli, senza mammà e papà! Da lì è stato l’inizio della fine, come si suol dire!
Più andavo avanti negli anni, più avevo voglia e bisogno di viaggiare, così ho girato una grande parte dell’Europa; nel 2005 sono andata con WWF e Handicap International in viaggio eco-solidale in Sud Africa. Siamo andati due volte a distanza di un anno (2007/2009) in Burkina Faso ad aiutare un villaggio al nord: Tougouri, che è stato per me il mio PRIMO VIAGGIO UMANITARIO, ma allora ero con i miei genitori ed era in qualche modo rassicurante non avere niente da organizzare, pianificare o spendere pure!
Successivamente, sono partita per andare da mio fratello negli USA nel 2013, un posto che non avrei mai pensato di visitare. Non era “al top della mia lista”, anzi, io sono più attratta dai paesi del Sud, spinta da questa adrenalina di scendere in campo e contribuire ad una dinamica collettiva per migliorare il mondo. Quindi, NYC, DC e Miami erano scelte inaspettate, eppure mi sono piaciute molto, NY in particolare per il suo essere eccentrica e diversa, per il fatto che lì ci sia la sede dell’ONU, il posto dove sogno di lavorare da quando ho intrapreso i miei studi in Scienze Politiche.
E poi a febbraio 2016, siccome ho un fratello fortunato che gira molto per lavoro (a quanto pare la sindrome di Wanderlust ce l’abbiamo tutti in famiglia!), sono arrivata sull’isola che non c’è, le Mauritius… Un angolo di pace multiculturale, immerso in una natura variegata e sorprendente, una piccola India “a portata di bianco” con le sue donne in saree, la guida a sinistra, ma le strade pulite e silenziose senza i clacson. Credo di avere trovato in quest’isola tutte le caratteristiche del posto nel quale vorrei vivere un giorno, nonché una forte somiglianza con Pondichéry, dove ho lasciato un pezzo di cuore. Dopo questo viaggio a Mauritius, è tornato “il pallino” del Madagascar, uno dei paesi al top della lista invece! Spero quindi che sarà il passo successivo!
Oltre a questi viaggi di piacere, ce n’è uno in particolare che mi ha irreversibilmente segnata e ha fatto scattare proprio l’adrenalina di cui vi parlavo prima: la mia missione umanitaria in India. L’India è il paese che è sempre stato in cima alla mia lista di viaggi da quando sono alle medie, infatti all’epoca volevo essere Madre Teresa 2, un soprannome che mi sento spesso dare ancora adesso.
I motivi per i quali sono partita in India sono così numerosi e diversi che non saprei da che parte iniziare.
Quello che mi ha sempre attratta sono le persone, i colori che vedevo sui cataloghi di viaggio, su google, la storia di Gandhi, Madre Teresa e il lavoro eccezionale che ha svolto a Calcutta.
Alle medie, uno dei ragazzi tedeschi dello scambio era indiano e proveniva dall’orfanotrofio di cui si occupava Madre Teresa. In qualche modo, presi questo incontro come un segno. Tutta la mia famiglia è sempre stata polarizzata sull’Africa e il sud America, e i miei hanno sempre viaggiato contribuendo alla vita delle persone nei posti dove passavano, dall’aiuto materiale a quello manuale o anche morale; ma nessuno di loro ha mai menzionato l’Asia, ancora meno l’India, quindi in realtà, nessuno capisce da dove mi sia venuto questo “richiamo”.
Di carattere sono piuttosto testarda, tanti hanno provato a scoraggiarmi ad andare in India per via della povertà crudele e dei rischi sanitari, e invece non ho abbandonato il mio progetto! L’ultima spinta mi è stata data dai miei compagni di università, che mi regalarono un diario di viaggio, con una guida sull’India e Shantaram (IL romanzo) alla fine della mia laurea triennale.
Tra una cosa e l’altra, volevo prendere il tempo di trovare un’ONG, organizzare il viaggio, tutto da sola ed è nel agosto del 2014 che sono partita per Pondichéry, in missione umanitaria itinerante nei villaggi disagiati e domenticati del Tamil Nadu.
Stranamente non sono stata stupita, scioccata, traumatizzata da quello che ho visto o vissuto, era più come se ci fossi già stata: ho passato così tanti anni a sognare dell’India, a leggere, a guardare film, a studiarla, che sapevo esattamente cosa avrei trovato, sapevo come muovermi, ero come a casa a Pondy. Il mal dell’India però al ritorno l’ho sentito, eccome! Ma era un buon male, era un sentirsi strappato via da un posto dove iniziavo a mettere le radici… avevo incontrato qualcuno poi quindi era doppiamente difficile!
Ero particolarmente felice invece, perché sono riuscita inaspettatamente a coinvolgere mia madre in questo viaggio, con le furia di mio padre che cercava di dissuaderermi dal principio. Un viaggio quindi madre-figlia nel Sud dell’India alla scoperta di un popolo sorridente, generoso, onesto, in una parola umano. Una boccata di ossigeno. Dopo la missione siamo rimaste una settimana in più, solo noi, e abbiamo fatto un giro nel Kerala, molto più sviluppato. Un interesse grandissimo per le sfumature che offriva quel paese cresceva in me, e appena tornata sul suolo francese, all’inizio del mio quinto e ultimo anno di Università a Padova, faccio domanda per ripartire immediatamente in India! A dicembre faccio 2 settimane di vacanze/seminario di nuovo a Pondy.
La mia testimonianza è sul sito di MH. A gennaio 2015, torno a Padova per preparare il trasloco, questa volta la vera avventura inizia: parto da aprile 2015 per 5 mesi in India di cui 4 a dirigere una casa di protezione all’infanzia in Odisha e uno a girare in Rajasthan quando mia madre – nel frattempo innamorata dell’India- mi raggiunge alla fine dello mio stage. A Gopalpur on Sea, si trova: Ashanta et Tinou, la casa di protezione all’infanzia dove ho lavorato e vissuto . L’esperienza più forte e coinvolgente che ho vissuto fino ad ora, con tanti ostacoli ma anche tanta gioia e soddisfazioni. Ho ripercorso con grande emozione quei mesi trascorsi nella casa rossa con i “miei” meravigliosi 21 bambini su una pagina internet.
Durante il mio soggiorno ho lavorato ed imparato a gestire una struttura sociale, in un paese straniero, dove l’inglese veniva parlato in modo molto astratto per le nostre orecchie occidentali. La buona notizia è che mi ha spinta ad imparare l’hindi e ad acculturarmi ulteriormente alla vita che avevo davanti agli occhi. Nel contempo, ho scritto la mia tesi di laurea magistrale, presentata successivamente ad ottobre 2015: “Un intervento a favore delle popolazioni indigenti in Odisha (India)” . Ho creato un “pen friend project” e al giorno d’oggi 3 scuole della provincia di Padova, collaborano a questo progetto! Intendo tornare a settembre o dicembre 2016 per creare nuovi progetti e contribuire a nuove modifiche strutturali dell’organizzazione della casa, comprare materiale e rivedere i miei bambini. Questo viaggio mi ha chiaramente cambiata ed insegnato molto più di quanto avrò potuto insegnare me stessa ai bambini….
Oggi infatti, in seguito al mio recente viaggio, ho capito che quello che voglio veramente è tornare in campo, sul terreno, agire, fare, cambiare le cose, aiutare le persone. In pratica ho bisogno di ali e radici; una casa base dove tornare con i miei due gatti, i miei amici, i miei studenti di danza, la mia vita e un passaporto sempre pronto per “staccare”, una specie di “puntura di richiamo”, così da tornare alla vita sedentaria motivata e felice…fino al prossimo viaggio.
Al momento infatti tramite il sito “Coordination Sud” sto contattando una serie di ONG e mandando CV a raffica, con la speranza di trovare una missione di qualche mese abroad!
Sto puntando a Madagascar come prossimo passo nella mia lista mentale: un compromesso tra Africa e India, un’isola quindi un luogo dove hai una sensazione di tranquilità e pace e dove c’è così tanto da fare per la popolazione locale. Un mio amico abita là e dal 1991, quando ci sono andati i miei genitori a dare una mano, incrociando i nostri racconti, pare che la situazione sia molto precaria ancora oggi. Ovviamente, ho preso l’impegno con me stessa di tornare alla casa rossa verso settembre/dicembre 2016, quindi per il Madagascar se ne parlerebbe l’anno prossimo. Cerco un’organizzazione seria, trasparente, con valori morali e umani, e sono aperta a proposte e consigli da chiunque leggerà questo articolo.
Il mio progetto a lungo termine è di aprire un’ONG, concentrata in una zona unica, studiata, nella quale ci saremo adattati prima di lanciare il nostro progetto. Non credo nelle ONG che sono basate in tutto il mondo, l’ho visto con MH, a volere fare le cose troppo in grande, la bussola perde il nord, e non è giusto che dei bambini subiscano i danni collaterali di tali azioni o non azioni. Dico NOI, perché si tratta di un progetto che sta maturando nella mente mia e della mia migliore amica Anna, con chi ho studiato i Diritti Umani, e altri due o tre amici stretti che sarebbero disposti a lanciarsi in questa avventura con noi, dato che condividiamo gli stessi ideali – chiamateli utopici se volete- di fare qualcosa di socialmente utile al nostro piccolo livello, per fare diventare il mondo, un posto accettabile, degno, migliore anche, per tutti.