Ciao! Mi chiamo Maria, ho 32 anni, sono originaria di Palermo, laureata in Comunicazione e Giornalismo. Vivo a Stoccolma da 2 anni e mezzo, ma non sono mai rimasta ferma in Italia: ho sempre viaggiato tanto, ho anche vissuto in Francia e Spagna per un po’. Vivo con Christoffer – rosso e fiero svedese del sud – da due anni e insieme abbiamo un gatto – anche lui rosso e fiero – di nome Traktor. Lavoro per Tripwell.com, un sito di annunci per case vacanze, parte del gruppo editoriale norvegese Schibsted.
Di cosa ti occupavi nella tua città?
A Palermo avevo la mia impresa individuale e mi occupavo di comunicazione: dopo un paio di anni di contratti a termine e da fame, ho deciso di mettermi in proprio, aprire una partita IVA e fare esattamente lo stesso lavoro che facevo a contratto ma con la libertà di essere io a determinare il posto e gli orari, nonché il valore del mio lavoro.
È andata egregiamente per un paio d’anni, poi “la crisi” ha diffuso il panico nelle aziende, così molti (troppi) dei miei clienti hanno iniziato a tagliare sulla comunicazione. Da qui l’esigenza di trovare una nuova dimensione tanto per la sfera lavorativa, quanto per quella privata.
Quando sei andata via?
Sono partita il primo luglio del 2013, alla veneranda età di 30 anni. Contrariamente a quanto si suole pensare in Italia quando racconti della tua personale esperienza migratoria, non è a 30 anni che sono andata via da casa di mamma, bensì a 23, subito dopo la laurea per trasferirmi a Madrid.
Cosa ti ha spinto ad andare all’estero? Non hai pensato di fare lo stesso nella tua città o in Italia?
Non sono mai stata a mio agio in Italia, men che meno in Sicilia. Parlavo 5 lingue all’epoca – con lo svedese adesso ne parlo 6 – e ho sempre sentito l’esigenza di andare all’estero, vedere il mondo da una prospettiva diversa da quella italiana.
Sin da quando ero una bambina la mia visione ideale del mondo ha sempre contrastato con la realtà in cui vivevo. Mi sentivo in gabbia vedendo quanto poco valore l’Italia attribuisse alla qualità della vita dei cittadini, quanto poco contassero i momenti preziosi che ogni padre e ogni madre dovrebbero trascorrere insieme ai loro figli, la presa in giro del concetto di eguaglianza forzata e non compresa, la chiusura mentale nei confronti di ciò che viene dal di fuori dei confini nazionali, le leggende metropolitane elevate al livello di verità assolute, la curiosità affossata dalla paura di ciò che non si conosce, la presunzione di essere i migliori del mondo, senza mai avere un’idea concreta di cosa accada per davvero nel tuo paese così come nel resto del pianeta, ma soprattutto l’attitudine passivo-aggressiva riguardo all’innovazione di processi obsoleti o complessi, come se il miglioramento di ciò che non funziona in Italia sia impossibile per definizione.
A tutto questo si aggiungono la mia curiosità, l’enorme amore per i viaggi e per le lingue, la passione innata per la semplificazione e l’efficienza, la voglia di vivere circondata da gente che non trovi assurdo il fatto che il rispetto per le cose pubbliche e le tasse sono dei beni comuni da preservare, non dei nemici da annientare.
Ecco perché sono andata via, perché i retorici valori italiani alla “basta ca ce sta ‘o sole, ca c’è rimasto ‘o mare” non mi sono mai appartenuti, mi hanno sempre e solo fatto rabbia. Questi valori avevano senso nel dopoguerra, quando all’Italia non era rimasto altro che ricostruire. Di senso non ne hanno più da circa 40 anni a questa parte, però per troppi italiani sembra più facile cullarsi nei ricordi di un passato che non c’è più invece che rimboccarsi le maniche, imparare dai propri errori e iniziare a immaginare l’Italia come una nazione unita e moderna.
Perché hai scelto quella destinazione?
“Scelta” non è il termine esatto. Ho sempre subito il fascino dei paesi scandinavi, del nord del mondo in generale, però non ho mai consciamente pianificato di spostarmi al nord prima del 2013. La decisione di spostarmi qui è dovuta a una pura combinazione di eventi, positivi e negativi, che mi hanno portato ad allargare più che mai i miei orizzonti, a rendermi conto del fatto che in Italia il mio destino sarebbe stata la sofferenza.
Così ho deciso di prendere quel volo di sola andata senza rimorsi, lasciando tutto quello che avevo, di cogliere quelle opportunità che prima di allora non avrei mai pensato potessero essere alla mia portata.
In Italia la mia autostima era stata seppellita sotto pesanti strati di frustrazione e mortificazione, non ero abituata a credere che potessi meritarmi un’occasione (qui ordinaria, lì straordinaria) come quella di avere un lavoro stabile e appagante, di vivere all’interno di un sistema che funziona, di scoprire che l’Italia è decisamente bella quando ci vai in vacanza, ma non quando ci vivi.
Non sto qui a tessere le lodi del sistema svedese, perché non è sicuramente un sistema perfetto, però funziona bene: tutti stanno mediamente bene e l’interesse della comunità viene sempre prima di quello dell’individuo – interesse che viene inglobato da quello generale, mai scavalcato.
Cosa ti aspettavi di trovare fuori dall’Italia? Le tue previsioni sono state soddisfatte?
Quando mi sono trasferita in Svezia, avevo un amico – anche lui siculo – che viveva già qui da anni, ma non l’avevo mai nemmeno visitata prima del colloquio di lavoro.
Le mie aspettative derivavano da racconti, esperienze indirette, cose lette online, niente di più. Però una certezza l’avevo: un paese dove il permesso di maternità e paternità ammonta a 480 giorni all’anno è un paese che alla vita attribuisce lo stesso valore che attribuisco io.
E siccome di vita ne ho una sola e circa metà l’ho trascorsa in Italia a lottare contro i mulini a vento, non ci penso su due volte quando mi si chiede “Hai trovato quello che cercavi in Svezia?”. A questa domanda rispondo che mi aspettavo di trovare esattamente ciò che desideravo sin da quando ero piccola: una società in cui vivere felice, senza drammi, senza pretese, senza burocrazie impossibili, dove la maggior parte dei servizi è accessibile online, file e trafile sono solo un ricordo sbiadito e la trasparenza (quella vera, dove tutti sanno pressoché tutto di tutti e, pur essendo così, non si fa un hobby del farsi gli affari altrui) è reale.
Sognavo, e ho trovato, un paese dove metter su famiglia e vivere con semplicità e dignità, godendo quanto più possibile della mia vita privata, in armonia e pace della mente e del cuore. I miei figli nasceranno e cresceranno qui, su questo non ho dubbi.
Conoscevi già le lingue straniere?
Sì, come accennavo sopra, parlo italiano, inglese, spagnolo, francese, tedesco e, da un anno e mezzo a questa parte – grazie al SFI, un programma scolastico gratuito offerto dal governo ai residenti immigrati -anche svedese.
Cosa fai adesso?
Lavoro per Tripwell.com, un sito di annunci per case vacanze, in transizione dalla posizione di Community Manager a quella di IT Business Liaison. La realizzazione nel mondo del lavoro era una delle mie maggiori fissazioni in Italia. Qui ho trovato la realizzazione che mi mancava e, adesso che ci sono arrivata, non me ne importa neanche più tanto. La vita in ufficio è senza dubbio interessante, divertente e costruttiva, ma quella fuori è quella più importante, gratificante, rigenerante.
Quali sono state le difficoltà iniziali e come le hai superate?
La difficoltà più grande a Stoccolma è l’alloggio. Qui il sistema degli affitti è completamente diverso da quello italiano e finché non capisci come funziona puoi ritrovarti a pagare un ostello o un hotel per settimane o addirittura mesi.
Ho avuto la fortuna di ricevere aiuto da un amico svedese prima di trasferirmi, grazie al quale ho potuto prendere in affitto la casa di un suo conoscente in vacanza per il primo mese. Ho anche ricevuto molto aiuto e consigli utili dai colleghi di lavoro, sia expat sia svedesi, che mi hanno spiegato come funziona il mercato e qual è il modo migliore per trovare case a Stoccolma.
Un’altra grande difficoltà è stato l’impatto iniziale con il costo medio della vita: venendo da un paese in cui si vive a prezzi relativamente bassi, quegli stessi risparmi che mi avrebbero consentito di sopravvivere per almeno un paio di mesi in Italia, in Svezia mi sono bastati per appena tre settimane.
Quello di adattamento a un nuovo paese, con lingua, background culturale e usi diversi, è un processo lungo: ci vuole tempo per imparare a capire quando, dove e come spendere bene i soldi. È stato mortificante (specie per me, che reputo l’autonomia uno dei miei punti di forza) ritrovarmi a chiedere soldi in prestito.
Tuttavia dopo un paio di mesi che guadagnavo in corone svedesi l’acqua ha ricominciato a scorrere, la papera è tornata a galleggiare, ho ripagato i debiti e finalmente ho iniziato a godermi la dolce vita svedese.
Ritengo comunque che sia tutta questione di fortuna: se non avessi incontrato persone gentili e disponibili ad aiutarmi, non so se avrei potuto ritrovarmi a usare queste stesse parole, oggi.
Ti sei integrato dove vivi, dopo quanto tempo?
In poco meno di un paio di settimane dal mio arrivo ho incontrato una persona dal background culturale diverso dal mio, eppure così simile allo stesso tempo. Pur provenendo da due mondi diversi, abbiamo trovato un’armonia immediata, profonda e allo stesso tempo genuina. Adesso conviviamo da due anni e vogliamo metter su famiglia.
Riguardo al mio personale processo di integrazione, non posso lamentarmi. In meno di 9 mesi ho imparato la lingua (o almeno il minimo necessario per capire e farmi capire), mi sono avvicinata e apprezzo le tradizioni e i costumi locali, celebro le festività svedesi in famiglia e con amici, e fra pochi mesi farò domanda per la cittadinanza, che dovrei ottenere fra circa un anno. Direi che più integrata di così davvero non potrei, anche se noto che altri expat che frequento annaspano un po’ quando si tratta di integrarsi, specie se non hanno molti contatti diretti con gli svedesi.
Cosa ti piace e cosa meno della città o Paese in cui vivi adesso?
L’unico grande difetto della Svezia è il Systembolaget, il monopolio per la vendita di alcolici. Qui l’alcol, per non si sa quale oscuro motivo, è considerato qualcosa da regolamentare strettamente, vendendolo solo in negozi con licenza, che aprono dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19 e il sabato fino alle 15. La domenica ti arrangi: o fai la scorta prima, o vai al bar a spendere minimo €5 euro per una birra blanda: ebbene sì, prendere un drink con gli amici è un investimento da queste parti. A volte a fine mese la vita sociale si riduce in attesa dell’arrivo del nuovo stipendio.
Ma pazienza, ci si abitua, non è la fine del mondo, anche se sembra quasi che il governo consideri i propri cittadini incapaci di regolarsi da soli in materia di alcolici, per cui li tratta come dei bambini.
Di Stoccolma non mi piace il sistema degli alloggi, troppo complicato da spiegare. Per farla breve è più facile comprare casa che prenderne una in affitto. Non è così invece nel resto della Svezia, per cui credo che il fascino della capitale abbia portato allo sviluppo di un sistema folle che, a mio parere, prima o poi collasserà.
Ti manca la tua città natale?
Tre cose soltanto mi mancano di Palermo: la famiglia, gli amici intimi e le montagne. Di tutto il resto non sento alcuna mancanza, anche perché sono più le cose che mi fanno arrabbiare della Sicilia, che quelle che riesco ad apprezzare genuinamente. Forse il tempo mi aiuterà ad essere meno amara un giorno nei confronti dell’Italia; troppo presto per saperlo. Al momento sto bene dove sto e mi godo famiglia e amici quando torno o vengono a trovarmi, le montagne invece solo quando vado io. Non sono Maometto, purtroppo 😀
Cosa diresti a chi è rimasto nella tua città natale e quali consigli a chi vuol vivere fuori dall’Italia?
Non ho niente di specifico da suggerire riguardo alla Svezia in particolare, ma certamente un consiglio generale mi sento di darlo a chiunque decida di andare a vivere fuori dall’Italia, a prescindere dalla destinazione.
Ho vissuto in diversi posti all’estero e ciò che davvero conta è aprire la mente: essere umili (no, l’Italia non è il centro del mondo, no il nostro cibo non è il migliore del mondo, no i nostri paesaggi non sono unici, no la nostra cultura non è superiore a nessun’altra, e soprattutto no, la nostra lingua non è affatto facile), non comportarsi tutto il tempo da italiani all’estero, non ghettizzarsi solo con altri connazionali, cercare amici di diverse provenienze, soprattutto persone originarie del luogo, dimenticare l’inglese per come lo insegnano le scuole italiane.
Il nostro sistema di insegnamento delle lingue ci rende bravi, quasi impeccabili nella grammatica, ma pessimi nella pronuncia e nella padronanza del lessico: quando comunichi in un’altra lingua non importa che le tue frasi siano strutturalmente corrette, se poi per formulare un periodo anche semplice ci metti un’eternità.
Ciò che conta di più è essere in grado di rendersi comprensibili e capire (senza vergognarsi di chiedere “Puoi ripetere?”) chi ci parla. Per padroneggiare l’inglese in modo utile, è necessario conversare tanto, leggere libri, ascoltare musica, guardare film e serie TV in lingua con sottotitoli originali.
Scordatevi il doppiaggio. Scordatevi i sottotitoli in italiano. Buttatevi nel meraviglioso mondo di un’altra lingua senza il salvagente a cui mamma Italia ci ha abituati e scoprirete che non è poi così difficile.
Pensi mai di ritornare un giorno?
No. Sicuramente in vacanza e anche spesso, ma proprio non ho voglia di tornare in Italia in pianta stabile. Magari un giorno mi ricrederò (e ne dubito), ma ora come ora non vedo il mio futuro in Italia.
Come e dove ti immagini in futuro?
Il mio futuro lo immagino in Svezia. Non a Stoccolma, magari un po’ più a sud, ma certamente qui. Se parliamo invece di pura immaginazione, quella che non tiene conto delle contingenze reali, sogno di trascorrere la vecchiaia in Portogallo, un paese che amo senza una ragione particolare e che trovo essere la perfetta combinazione tra il caos mediterraneo e l’ordine scandinavo.
Come immagino il futuro è una domanda alla quale non sono in grado di rispondere, ma cerco sempre di tenermi aperta a ogni evenienza nella vita. Ad ogni modo mi auguro di essere sempre felice e in salute.
Immagini i tuoi figli e nipoti che parlano una lingua straniera anziché l’italiano?
Non vedo altra alternativa, a prescindere da dove nascano e vivano. Ho sempre voluto insegnare una seconda lingua parallelamente all’italiano, quando vivevo in Italia.
Adesso nonostante il quadro sia diverso, il risultato non cambia: i miei figli avranno mamma italiana e papà svedese, ed entrambi concordiamo sul voler insegnare loro anche l’inglese in parallelo.Mio padre lo ha fatto con me e non smetterò mai di essergliene grata. Non sarei qui se non fosse per la passione con la quale mi ha trasmesso l’amore per l’inglese e per le lingue in generale.
Il Paese dove vivi adesso è multiculturale?
Molto. La Svezia è un paese ricchissimo di culture provenienti da tutto il mondo, nonché uno dei più accoglienti al mondo. Trasferirsi qui se provieni da una nazione UE è abbastanza facile se hai un lavoro, mentre se non vieni
dalla comunità europea la trafila è più lunga e complessa, ma le autorità fanno di tutto per rendere il processo di integrazione quanto più snello e facile possibile.
Differenze tra l’Italia e il Paese in cui vivi?
Le differenze sono innumerevoli e bene o male di quelle maggiori credo di aver parlato già in precedenza. Si tratta di due realtà diverse, con due background storico-culturali molto distanti: basti pensare che se la Svezia è così fiorente oggi, molto probabilmente lo si deve al fatto che non ha mai partecipato a nessuna guerra mondiale, arricchendosi grazie alla produzione e alla vendita di armi e mezzi di trasporto, mentre molti altri paesi in Europa e nel mondo si impoverivano per via dei combattimenti.
È veramente difficile fare una lista delle differenze tra Svezia e Italia, per cui mi limiterò a citarne una fra le più banali, giusto perché un po’ di colore non guasta mai: la Svezia è il terzo paese al mondo per consumo pro capite di caffè. Una tazza di caffè “lungo” svedese ha sei volte più caffeina di un espresso. Qualcuno doveva pur metterlo nero su bianco che l’espresso non è poi così forte come crediamo in Italia! 🙂
Stoccolma conta 100 stazioni della metropolitana, 99 delle quali decorate da artisti. Questa è Kungsträdgården, sulla linea blu, a mio avviso la più bella:
Ecco qui il pelosotto del mio cuore, Traktor, un gattone nato dall’incrocio tra un gatto delle foreste norvegesi e una gatta domestica svedese:
Midsommar, il ferragosto svedese, celebrato insieme agli amici più cari, indossando la tradizionale Midsommarkrans, una corona di fiori fatta a mano (da noi!). Allo stesso tavolo siedono Italia, Svezia, Russia, Francia e Danimarca.
E infine una foto insieme a Christoffer, l’uomo che mi ha rubato il cuore: