Mi chiamo Miriam La Rosa, ho 27 anni e sono una curatrice indipendente. Sono nata in Sicilia ma ho vissuto in posti diversi come il nord dell’Italia, l’Australia, l’Olanda e l’Inghilterra. Ho lasciato San Cataldo, la mia città di origine, subito dopo il liceo; per cui ero ancora in fase di studio.
Sono andata via dalla mia città, per la prima volta, nell’estate del 2007 (quando avevo 18 anni), per cominciare un corso di laurea in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo – indirizzo in Storia dell’Arte – a Brescia.
La mia prima esperienza di vita all’estero, invece, è avvenuta a ventidue anni. Mi ero temporaneamente trasferita a Brisbane, in Australia, per migliorare il mio inglese. Sono stata lì per sei mesi, studiando e lavorando, e poi mi sono trasferita ad Amsterdam, in Olanda.
Perché hai scelto quella destinazione?
Sono stata ammessa ad un Master in Museology alla Reinwardt Academy; non avevo trovato un simile corso in Italia.
Cosa ti aspettavi di trovare fuori dall’Italia?
Mi aspettavo semplicemente di fare un’esperienza diversa e di confrontarmi con persone di culture differenti, oltre che di accrescere il mio curriculum.
Conoscevi già le lingue straniere?
Avevo studiato inglese a scuola, ma vivere all’estero ha notevolmente contribuito a migliorare la mia conoscenza della lingua – se non ad imparare sul serio 🙂
Cosa fai adesso?
Ho conseguito un MA in Curating the Contemporary alla London Metropolitan University e Whitechapel Gallery. Da Maggio 2014 ho costituito un collettivo curatoriale, insieme a due colleghi; organizziamo eventi e mostre in collaborazione con artisti e istituzioni a Londra e all’estero (principalmente in Europa). Da agosto 2013 faccio anche parte del team editoriale di una piattaforma online (CtC) che si occupa di arte contemporanea.
Quali sono state le difficoltà iniziali e come le hai superate?
Essendomi trasferita, diverse volte, in vari Paesi e città, posso dire che le difficoltà iniziali consistono nel doversi abituare a stili di vita differenti, al cambiamento di clima e alla logistica del posto “nuovo”. Io ho sempre cercato di rimanere aperta alla diversità, tentando di fare miei quegli aspetti dell’“altro” che apprezzo; pur conservando, allo stesso tempo, le tradizioni e i modi di fare che mi appartengono sin dalle origini e rappresentano una parte importante della mia identità come persona.
Ti sei integrato dove vivi? E dopo quanto tempo?
Vivo a Londra e penso di essermi integrata. In questa città, come in altri luoghi multiculturali in cui ho vissuto – Amsterdam, ad esempio – l’integrazione è un processo complesso (perché avviene su strati diversi) ma anche davvero affascinante. Ad esempio, io vivo in un quartiere principalmente musulmano e ricco di immigrati di vecchia generazione. I miei vicini di casa provengono dal Bangladesh, da varie zone dell’India e dall’Inghilterra, in particolare dall’East End di Londra. In casa abito con mio marito (che è brasiliano), una ragazza scozzese, un ragazzo di origini francesi che ha vissuto a lungo in America ed un ragazzo turco. Prima di loro, ho avuto coinquilini di diverse nazionalità e i miei amici sono altrettanto misti, in fatto di origini ed esperienze di vita. L’integrazione in una città enorme e “veloce” come Londra dipende da quanto si è disposti a rischiare e mettersi in gioco, abbandonando certi stereotipi di vita per inseguire i propri obiettivi. Non è una città semplice. È certamente un posto che offre molto, ma che consuma anche tante energie. Il modo migliore per integrarsi qui è quello di tenere la mente aperta e non giudicare – anche quando può sembrare difficile – fare una lista di priorità, imparare a gestire il fallimento e non perdere la determinazione.
Ti manca la tua città?
Mi manca il ricordo della mia città. Mi manca la quotidianità della vita accanto alla mia famiglia e ai miei amici di vecchia data. Poi mi mancano certi odori e sapori della mia casa e certe piccole abitudini, che pur tentando di ricreare da un’altra parte rimarranno “reali” solo se contestualizzati in rapporto a quel posto.
Cosa diresti a chi è rimasto nella tua città natale?
Che se è felice e soddisfatto non ha motivo di lasciarla; ma di non precludersi mai la possibilità di conoscere posti nuovi e culture differenti. In altre parole, di rimanere sempre aperto ad abbracciare la diversità. E questo può accadere ovunque, anche nella propria città natale, perché – in base alla mia esperienza – la scoperta dell”altro” è legata a uno stato mentale più che a un movimento fisico.
Pensi mai di ritornare un giorno?
Io ritorno un paio di volte l’anno e le persone a cui tengo le ho sempre vicine, nonostante la distanza fisica. In questo senso, mi sento una persona davvero fortunata.
Come e dove ti immagini in futuro?
Sicuramente continuando a lavorare a supporto di artisti, progetti e idee in cui credo. Non so in che luogo. La mia prossima tappa dopo Londra, forse, sarà il Brasile. Mio marito è originario di Rio de Janeiro ed io amo l’America Latina. Mi piacerebbe molto vivere lì per un po’, ma questo non significa per sempre…
Immagini i tuoi figli e nipoti che parlano una lingua straniera anziché l’italiano?
Se avrò dei figli, loro parleranno certamente italiano, che è la mia lingua, portoghese, che è quella di mio marito, e inglese – e se poi vivremo in un posto in cui si parla un’altra lingua ancora, dovranno imparare anche quella. La lingua è la base per comprendere a pieno una cultura e integrarsi.